giovedì 28 marzo 2019

Perché Philadelphia?


Il treno sfreccia ed il paesaggio oscuro aldilà delle vetrate perde la sua consistenza, la sua integrità, specchiandosi negli occhi azzurri della figura esile che porta il nome di Chloe Elisabeth Corey e ch'è rannicchiata all'angolo di un sedile altrimenti vuoto.

Perché Philadelphia? Una ruga compare fra le sopracciglia e diverse volte le palpebre s'affrontano, con la leggerezza ch'è ancora sconosciuta e che chissà a chi avrà modo di mostrarla, chissà in quali luoghi avrà voglia di disperderla.

Perché Philadelphia? Il petto nella camicetta bianca, chiusa fino all'ultimo bottone fra le ali di un colletto nero che spezza, si gonfia in un respiro prolungato che si infrange sulla finestra, rendendola opaca in un'area ristretta. L'angolo delle labbra si tira su, facendosi coraggio, e l’indice della mano destra viene sollevato a turbare la suddetta opacità per delineare qualcosa ch'è inizialmente irriconoscibile, via via più arcano, e quasi inquietante sul finire...

- ...Philadelphia?
- Come scusi?

Il controllore del treno è un uomo alto, burbero, con i baffi, e guarda da sopra le lenti che porta in prossimità del naso prima lei e poi il glifo incompleto infantilmente disegnato sul vetro.

- Oh. Sì, scendo a Philadelphia.

Chloe vaga con le mani nella borsa di pelle nera che ha al fianco, estrae un biglietto un po' stropicciato e lo porge all'uomo che lo controlla, controlla lei, controlla il simbolo in dispersione sul vetro.

- Stiamo per arrivare.

Lei annuisce, riprende il biglietto e segue l'allontanamento dell'uomo. Perché Philadelphia non lo sa neanche lei. Mamma ha detto che era bella, un tempo, e che un certo cugino più o meno lontano deve essersi lì trasferito diverso tempo prima. Ha detto che c'è stata la guerra, lì, e che sarà più facile ricominciare se tanta gente deve far lo stesso.

Poi l'ha abbracciata forte e ha strizzato gli occhi, trattenendo qualcosa come il fiato per un po'.
Ma Mamma è fatta così. Non c'è da stare a rifletterci troppo... no?

lunedì 25 marzo 2019

Scar tissue that I wish you not saw

Lineare sulla spalla destra, 2 cm;
Lineare, parte alta e sinistra dell'addome, 3 cm;
Irregolari, varie, su tutto l'addome;
Irregolare, a destra del petto, sopra il seno, 2 cm;
Lineare sul ventre, 2 cm;
Lineare sul braccio destro, 2 cm;

I.

Siamo all’interno di una caffetteria della catena Denny’s. Gettiamo un’occhiata intorno, poi fermiamo lo sguardo su una ragazza seduta vicino la finestra. Perché proprio lei? Perché non un’altra? Non lo sappiamo. Eppure per qualche motivo la nostra attenzione è attirata da quella ragazza… così, è una cosa che ci viene spontanea. Seduta a un tavolo per quattro persone, sta leggendo un libro. Indossa una camicia bianca con colletto nero, una gonna nera corta a balze ed un paio di collant scuri che s’infilano in anfibi neri scoloriti sulle punte da innumerevoli passi. Ha appeso allo schienale della sedia accanto alla sua una sorta di mantellina altrettanto nera. Quanto all’età, probabilmente sta sulla ventina. Non è più un’adolescente, ma in qualche modo ha ancora addosso l’atmosfera delle scuole superiori che non ha mai frequentato. Capelli castani di media lunghezza, lisci. Quasi niente trucco, e nemmeno un gioiello. Un viso piccolo e magro. Ogni tanto fra le sopracciglia le si forma una ruga, segno che sta riflettendo.

La ragazza è molto infervorata nella lettura. Non stacca quasi gli occhi dalle pagine di uno spesso libro dalla copertina rigida, di cui non possiamo leggere il titolo perché ha ancora la fodera di carta di una libreria indipendente. Deve trattarsi di un argomento impegnativo, a giudicare dalla serietà con cui sta leggendo. Sembra divorare il testo riga per riga, senza saltare una parola.

Sul tavolino c’è una tazza di caffè. Un portacenere vuoto. Accanto al portacenere è posato un cappello nero a falde larghe, probabilmente un po’ grande per la sua testa, ed un po’ eccessivo per la sua età. Sulla sedia di fianco c’è una sacca di pelle nera. Dalla forma, si direbbe che sia stata riempita di fretta e furia con le prime cose che capitavano, così, alla rinfusa. A intervalli regolari la ragazza porta la tazza alla bocca, ma non sembra trovare il caffè di suo gradimento. Lo beve perché ce l’ha davanti, quasi fosse suo dovere, per così dire.

La musica di sottofondo è Go Away Little Girl, di Percy Faith e la sua orchestra. Ovviamente nessuno l’ascolta. Numerosi clienti, ma lei è l’unica donna sola. Ogni tanto solleva gli occhi dal libro e guarda l’orologio che ha al polso. Il tempo però non sembra scorrere alla velocità che vorrebbe. Tuttavia non dà l’impressione di avere un appuntamento con qualcuno. Non si guarda mai attorno, né getta occhiate verso la porta, spera soltanto che il tempo passi un po’ più in fretta. Peccato che all’alba manchi ancora molto, non c’è bisogno di dirlo.



Story.

Tante furono le dicerie e le leggende su Giles Corey e su sua moglie, e sui suoi figli dispersi. Fra queste, la più amata - e probabilmente anche la meno probabile - fu l’ipotesi che uno dei figli fece un patto con il diavolo, al fine di garantire la sopravvivenza della stirpe: così si spiegava come fosse possibile che gran parte - se non tutti - dei Corey conosciuti fossero uomini, senza neanche considerare che forse, da qualche parte, all’ombra di uomini imponenti e tradizioni tramandate, qualche donna poteva pure esserci.

Nascere femmina sotto il nome di Corey era possibile e Chloe Elisabeth Corey lo dimostrò il 10 Marzo del 2006, agli occhi di una madre consapevole e di un padre rassegnato, già poco presente e da quel momento sempre meno reale.

A NEW ORLEANS , Chloe cresce con la curiosità negli occhi e la leggerezza nei movimenti, amata e accudita dalla stessa madre consapevole che vide in lei - forse come qualsiasi madre farebbe - una luce di saggezza che la spinse a lottare per garantire alla figlia le stesse possibilità che sarebbero state regalate ad un figlio maschio.

Chloe è iniziata al mondo magico ed occulto già alla tenera età di quattro anni, fra tomi poco scritti e prevalentemente illustrati quasi più pesanti di lei, gli occhi vivi e speranzosi di una madre ed anche guida, e quelli scettici di un padre troppo distante. Quattro anni, come quattro le mura protettive di un ambiente famigliare non troppo sano, e decisamente troppo ristretto.

Ancora quattro le mura del collegio privato - alla periferia di New Orleans stessa - che la accoglie all’età di undici anni. Il collegio in questione, ormai da decenni, si prefiggeva il compito di riunire in un'unica Congrega e proteggere le giovani streghe discendenti dalle stirpi magiche più antiche, e più ostiche - proprio come i Corey erano conosciuti. In tale ambiente nuovo, appena più aperto, ma sempre limitato, Chloe cresce ancora e si interfaccia a compagne dai caratteri prorompenti, insubordinati, o ancora puramente gentili; si interfaccia ad una Direttrice con l’istinto materno esasperato dalla mancanza di figlie proprie, con un Consiglio di Streghe coinvolgente la sua stessa madre e con una “Suprema” non ancora pronta a passare il testimone. Chloe si guadagna rispettivamente l’invidia, la stima, l’affetto delle compagne; si guadagna l’aiuto della Direttrice, l’approvazione del Consiglio e la fierezza negli occhi lucidi della madre, ma si guadagna anche il rancore della “Suprema”, presto ostica, presto pericolosamente… rivale.

Fra maghi e streghe di un certo prestigio e di una certa tradizione, le dicerie sono colme delle più potenti energie, al punto da risultar quasi reali: “Fatta una Suprema ne muore un’altra” ha tra le lettere l’assurdità di una convinzione che deve aver fatto da radice al suddetto astio, presto intercettato dall’occhio attento di una madre che ancora una volta - e per un’ultima volta, probabilmente - si ritrova ad ergersi a guida per una figlia appena ventiduenne.

Così Chloe lascia la Congrega: lascia le quattro mura del collegio e quelle di casa, lascia New Orleans, portando addosso il profumo di un abbraccio soltanto materno, stretto e pesante come massi sul torace sopportati ancora una volta, a distanza di centinaia di anni, per un fine che va oltre qualsiasi arte magica ed occulta.

Origins.

1692, SALEM: Giles Corey è il marito di Martha Corey, ed entrambi sono coinvolti nel processo alle streghe che rese famosa la cittadina in questione. Giles Corey è qualcosa di più e niente di meno di un contadino, di un ultrasettantenne, di un marito fedele e di un padre devoto, che ricorre ad un espediente per non essere giudicato: rimane in silenzio, Giles Corey, così il processo non può essere portato a termine e senza processo, alla sua morte, i suoi beni non possono essere confiscati, passando agli eredi diretti… i figli.

Figli che si agitano, e si muovono, e preparano armi e bagagli mentre il padre è sottoposto ad un supplizio atroce: disteso sul terreno antistante le prigioni, porta sul torace il peso di insostenibili massi. La tortura prosegue, ma Corey non demorde e alle richieste di resa dello sceriffo Giles risponde incurante: “Più peso”. 

Ci vogliono due giorni prima che Giles Corey muoia, giorni sufficienti a lasciar sfuggire un paio di figli, ma non sufficienti a ledere la fedeltà di una moglie che verrà impiccata non molti giorni dopo. Due giorni, prima che un ultimo respiro venga esalato, e seraficamente di nuovo venga farfugliato: “Più peso”.